lettere e cartoline
Miliardi di lettere, inviate e ricevute, oltre ad un numero imprecisato di diari e memorie autobiografiche incardinate attorno alla Grande Guerra, rappresentano un importante giacimento di storie di vita e memorie da cui attingere per ricostruire gli aspetti culturali e della mentalità legati al processo di accettazione, rifiuto e difesa indotti dalla guerra, ai traumi causati dalle precarie condizioni di vita e dalle atrocità compiute e viste dai combattenti.
La guerra scatenò una vera e propria "epidemia" di scrittura che contagiò tutti i combattenti, di ogni paese belligerante e su ogni fronte, qualsiasi fosse il loro livello culturale. Nel dopoguerra è stato calcolato che in Germania la corrispondenza movimentata durante il conflitto ammontasse a circa 30 miliardi di missive (circa 10 milioni di invii giornalieri verso le zone di guerra tra lettere, cartoline e pacchi postali e 7 milioni di spedizioni dal fronte) e in Francia a 10 miliardi; in Gran Bretagna si è calcolato che i soldati dispiegati al fronte inviassero circa 20,5 milioni di missive a settimana, mentre sul fronte italiano si stima una movimentazione di quasi 4 miliardi di lettere e cartoline postali, delle quali circa 2 miliardi e 137 milioni erano le missive inviate dal fronte verso l'interno, 1 miliardo e 509 milioni le missive che fecero il viaggio contrario e circa 263 milioni quelle scambiate tra i militari. Occorre però notare come il tasso di analfabetismo registrato in Italia nel 1911 (37,6% in media contro il 5% in Francia) fosse ben più elevato di quello attestato nelle maggiori potenze europee, e questo fa apparire i dati italiani ancor più sorprendenti, dato che ciò significa che oltre 2 milioni di soldati degli oltre 5 milioni mobilitati non possedevano le competenze alfabetiche al momento della partenza per la guerra. Ma al contrario per esempio dei soldati francesi, che utilizzavano la lingua scritta nazionale appresa a scuola, i soldati italiani utilizzarono spesso un linguaggio improvvisato legato alla trascrizione del dialetto locale, con il quale potevano capirsi solo fra commilitoni-compaesani e con i parenti a casa.
Scrivere lettere rappresentò per molti un faticoso esordio nella comunicazione scritta, spinto dal bisogno di relazionarsi con un interlocutore assente attraverso un contatto comunicativo non istantaneo e regolato da codici grafici in gran parte sconosciuti. Molte missive popolari infatti riproducono sulla carta uno scambio colloquiale, ma ciò non significa che alla rozzezza sintattico-morfologica dei testi corrisponda una banalità dei contenuti. Tutt'altro: le scritture epistolari della gente comune sono testi complessi che necessitano di un'accurata opera di decodificazione e sono capaci di restituire una memoria dell'evento altrimenti inattingibile. Scrivere significava essere ancora vivi; contemporaneamente l'arrivo della corrispondenza, vissuto con impazienza, rappresentava la rassicurante conferma di non essere soli e dimenticati.
Numerose, da parte dei tanti contadini al fronte, le richieste di informazioni riguardanti l'andamento delle faccende agricole e casalinghe, seguite con molto scrupolo seppur con gli insuperabili limite della distanza da casa. Ma la maggior parte delle missive proveniva dalla trincea, e ne descriveva la quotidianità, la sofferenza e la noia, molto ricorrente nei periodi di stasi operativa, che si andava a scontrare fortemente durante i brevi e intensi periodi di battaglia, durante i quali i soldati cercavano di descrivere l'esperienza bellica, che nella maggior parte dei casi risultava indescrivibile. Ciò non fece rinunciare i soldati a raccontarla, o almeno provare a farlo, ma descrivere un'esperienza così traumatica, nuova e lacerante fu per molti soldati una vera e propria impresa. Comprimere in una missiva una tale mole di sollecitazioni sensoriali non fu affatto semplice, soprattutto in mancanza di adeguate competenze linguistiche, e anche per questo molti soldati utilizzarono inconsciamente o meno dei modelli definiti di scrittura, con formule di esordio riguardanti la salute, comode per gli scriventi e rassicuranti per i destinatari, e affidando la chiusura delle lettere con ridondanti espressioni di congedo, molto probabilmente apprese durante i percorsi scolastici e di svago nelle retrovie dei vari fronti. Tuttavia questo "rituale" non impedì di personalizzare i testi grazie all'uso volontario di espressioni dialettali, ricorrendo all'ironia, alla rassegnazione e a tutta una serie di atteggiamenti sfumati pesantemente condizionati da timori di censura e da ancor più inibitorie limitazioni di autocensura,
La guerra scatenò una vera e propria "epidemia" di scrittura che contagiò tutti i combattenti, di ogni paese belligerante e su ogni fronte, qualsiasi fosse il loro livello culturale. Nel dopoguerra è stato calcolato che in Germania la corrispondenza movimentata durante il conflitto ammontasse a circa 30 miliardi di missive (circa 10 milioni di invii giornalieri verso le zone di guerra tra lettere, cartoline e pacchi postali e 7 milioni di spedizioni dal fronte) e in Francia a 10 miliardi; in Gran Bretagna si è calcolato che i soldati dispiegati al fronte inviassero circa 20,5 milioni di missive a settimana, mentre sul fronte italiano si stima una movimentazione di quasi 4 miliardi di lettere e cartoline postali, delle quali circa 2 miliardi e 137 milioni erano le missive inviate dal fronte verso l'interno, 1 miliardo e 509 milioni le missive che fecero il viaggio contrario e circa 263 milioni quelle scambiate tra i militari. Occorre però notare come il tasso di analfabetismo registrato in Italia nel 1911 (37,6% in media contro il 5% in Francia) fosse ben più elevato di quello attestato nelle maggiori potenze europee, e questo fa apparire i dati italiani ancor più sorprendenti, dato che ciò significa che oltre 2 milioni di soldati degli oltre 5 milioni mobilitati non possedevano le competenze alfabetiche al momento della partenza per la guerra. Ma al contrario per esempio dei soldati francesi, che utilizzavano la lingua scritta nazionale appresa a scuola, i soldati italiani utilizzarono spesso un linguaggio improvvisato legato alla trascrizione del dialetto locale, con il quale potevano capirsi solo fra commilitoni-compaesani e con i parenti a casa.
Scrivere lettere rappresentò per molti un faticoso esordio nella comunicazione scritta, spinto dal bisogno di relazionarsi con un interlocutore assente attraverso un contatto comunicativo non istantaneo e regolato da codici grafici in gran parte sconosciuti. Molte missive popolari infatti riproducono sulla carta uno scambio colloquiale, ma ciò non significa che alla rozzezza sintattico-morfologica dei testi corrisponda una banalità dei contenuti. Tutt'altro: le scritture epistolari della gente comune sono testi complessi che necessitano di un'accurata opera di decodificazione e sono capaci di restituire una memoria dell'evento altrimenti inattingibile. Scrivere significava essere ancora vivi; contemporaneamente l'arrivo della corrispondenza, vissuto con impazienza, rappresentava la rassicurante conferma di non essere soli e dimenticati.
Numerose, da parte dei tanti contadini al fronte, le richieste di informazioni riguardanti l'andamento delle faccende agricole e casalinghe, seguite con molto scrupolo seppur con gli insuperabili limite della distanza da casa. Ma la maggior parte delle missive proveniva dalla trincea, e ne descriveva la quotidianità, la sofferenza e la noia, molto ricorrente nei periodi di stasi operativa, che si andava a scontrare fortemente durante i brevi e intensi periodi di battaglia, durante i quali i soldati cercavano di descrivere l'esperienza bellica, che nella maggior parte dei casi risultava indescrivibile. Ciò non fece rinunciare i soldati a raccontarla, o almeno provare a farlo, ma descrivere un'esperienza così traumatica, nuova e lacerante fu per molti soldati una vera e propria impresa. Comprimere in una missiva una tale mole di sollecitazioni sensoriali non fu affatto semplice, soprattutto in mancanza di adeguate competenze linguistiche, e anche per questo molti soldati utilizzarono inconsciamente o meno dei modelli definiti di scrittura, con formule di esordio riguardanti la salute, comode per gli scriventi e rassicuranti per i destinatari, e affidando la chiusura delle lettere con ridondanti espressioni di congedo, molto probabilmente apprese durante i percorsi scolastici e di svago nelle retrovie dei vari fronti. Tuttavia questo "rituale" non impedì di personalizzare i testi grazie all'uso volontario di espressioni dialettali, ricorrendo all'ironia, alla rassegnazione e a tutta una serie di atteggiamenti sfumati pesantemente condizionati da timori di censura e da ancor più inibitorie limitazioni di autocensura,
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